Le Omelie Diverse di Basilio di Cesarea,
la Cappadocia di IV secolo
e l’omiletica morale cristiana

Basilio di Cesarea, Omelie diverse

«Chi, dunque, si purificò maggiormente con l’aiuto dello Spirito e si rese degno di esporre le cose divine? Chi è stato di più illuminato dalla luce della conoscenza ed è penetrato nelle profondità dello Spirito, scrutando con l’aiuto di Dio le cose di Dio? Chi ebbe un linguaggio che fosse interprete più efficace dei propri pensieri, così da non zoppicare, come fa la maggior parte degli uomini, in nessuno dei due casi, né quando il pensiero non trova modo di esprimersi né quando l’espressione non è conforme al pensiero, ma segnalandosi con uguale fama nell’uno e nell’altro caso e mostrandosi sempre all’altezza di se stesso e profondamente equilibrato? […] Di Basilio la bellezza era la virtù, la grandezza la teologia, il corso l’incessante movimento che conduce e innalza fino a Dio, la forza il seme della parola e la sua distribuzione, tanto che io posso dire, senza alcuna esitazione, che la sua voce si è diffusa su tutta la terra e la forza delle sue parole ha toccato i confini del mondo, secondo quanto Paolo disse agli Apostoli, prendendo da Davide questa espressione (Sal 19 [18], 5; Rm 10, 18). […] Quando ho per le mani il suo Esamerone e lo riferisco con la mia lingua, io mi ritrovo con il Creatore, comprendo le ragioni della creazione e ammiro il Creatore più di prima, quando avevo come maestro soltanto la mia vista. Quando mi trovo a leggere i suoi scritti controversiali, io vedo il fuoco di Sodoma, dal quale sono incenerite le lingue malvagie e violente, o la torre di Calane, iniquamente costruita e giustamente abbattuta. Quando sono a leggere quei suoi scritti che trattano dello Spirito, io ritrovo il mio Dio ed esprimo liberamente la verità, perché mi fondo sulla sua teologia e sulla sua contemplazione. Quando ho a che fare con gli altri commentari, che egli ha composto per coloro che sono di scarsa perspicacia, dopo averli per tre volte incisi sulle robuste tavolette del suo cuore, mi convinco a non fermarmi alla lettera e ad esaminare non solo gli elementi più in superficie, ma a spingermi oltre e a passare da profondità a profondità, richiamato all’abisso dall’abisso, e trovando luce grazie a luce, fino a quando non giunga al punto più alto. Quando leggo gli encomi dei martiri, non tengo conto del corpo, sono con quelli che elogio e mi desto per la lotta. Quando mi occupo dei discorsi che riguardano la morale o la vita pratica, mi purifico nell’anima e nel corpo, divengo un tempio per ospitare il Signore e strumento percosso dallo Spirito, inneggiante alla gloria e alla potenza divina: da lui traggo la mia armonia e il mio ritmo, grazie a lui sono diventato altro da quello che ero, subendo metamorfosi divina».

(altro…)

Giovanni Crisostomo si interroga sulla sofferenza del giusto e sull’esperienza del male in un fondamentale commento al libro di Giobbe

La prima traduzione italiana del Commento al libro di Giobbe di Giovanni Crisostomo

Nel volume n.256 della Collana dei Testi Patristici viene fornita per la prima volta la versione integrale del Commento a Giobbe di Giovanni Crisostomo (introduzione, traduzione e note di Lucio Coco, Città Nuova, Roma, 2018, pp. 256). Si tratta di un testo, probabilmente redatto negli anni in cui era sacerdote ad Antiochia (386-398), che impegna il padre greco in un imponente sforzo interpretativo in relazione ai grandi problemi teologici e spirituali che la sofferenza del giusto e la presenza del male impongono quando se ne voglia cogliere il senso e interrogarne il perché.
Nel raccontare la storia di Giobbe, il Crisostomo, fedele al modello ermeneutico di scuola antiochena, segue alla lettera il testo biblico.

Commento a Giobbe – collana Testi patristici

(altro…)