L’Epistolario di Sidonio Apollinare e l’epistolografia tardoantica

Nella tarda antichità le pratiche e le forme della comunicazione scritta – e di quella epistolare in maniera particolare – sono ancora regolate dai canoni elaborati dalla cultura classica. Mentre un mondo «cade senza rumore», per riprendere le parole del titolo di un celebre saggio di Arnaldo Momigliano (La caduta senza rumore di un impero nel 476 d.C., «ASNP», s. III, 2, 1973, pp. 397-418), lo scambio epistolare è ancora vitale, soprattutto nelle élites intellettuali e aristocratiche della Gallia romanizzata, che era una società abituata allo scrivere inteso in tutte le sue sfumature (letteraria, commemorativa, documentaria, personale) e anche alla conservazione ordinata dello scritto. L’uso sociale della comunicazione epistolare si evolverà decisamente a partire da Gregorio Magno, quando in questo ambito si farà sentire con forza il peso della registrazione cancelleresca, ma Sidonio, Avito e i loro sodales sono ancora partecipi di una concezione della vita e dei rapporti sociali che prevedeva una fitta rete di reali corrispondenze personali.

Il corpus epistolare di Sidonio consta, nel suo complesso, di 147 lettere divise in 9 libri e l’impianto generale ha il dichiarato intento di imitare, anche nella sua ripartizione, l’opera di Plinio il Giovane. Esse furono scritte quasi tutte  tra il 470 e il 480 (dopo l’elezione episcopale), ma l’epistolario raccoglie nei primi libri non poche lettere di anni precedenti, evidentemente concepite come quotidiana corrispondenza con familiari e amici, poi riviste nella prospettiva della pubblicazione.

Sidonio Apollinare – Epistolario – collana Testi patristici

La cronologia e le fasi compositive dell’epistolario

Un punto di rilevante interesse è legato alla cronologia delle lettere, nessuna delle quali presenta una datazione autoriale. Si deve ad André Loyen un’accurata e attendibile (ancorché spesso problematica) sistemazione cronologica delle missive sulla base di avvenimenti e personaggi in esse citati; tuttavia la loro collocazione non rispecchia un ordine cronologico, ma è probabilmente guidata da preoccupazioni letterarie e artistiche dell’autore. In sintesi, ancora secondo la ricostruzione di Loyen, l’epistolario sarebbe stato pubblicato in momenti diversi: il I libro nel 469, mentre forse nel 477 videro la luce i libri dal II al VII, l’VIII verso il 479 e il IX verso il 482. Questi ultimi due libri sono presentati come sollecitati dagli amici, ma in realtà sono funzionali a conferire all’epistolario una corrispondenza quantitativa con il modello pliniano.

I temi trattati da Sidonio nell’epistolario

Dalla lettura delle epistole sidoniane emergono ripetutamente esempi significativi di differenti e variegati nuclei tematici. Si passa dalla lettera di raccomandazione alla descrizione di comportamenti, dalle testimonianze drammatiche dei momenti critici delle invasioni barbariche a riflessioni sulla propria attività pastorale e sulle necessità morali del cristiano. Non mancano momenti di confessioni autobiografiche sul modello delle Retractationes agostiniane, espressione della tendenza alla soggettività tipica degli autori tardoantichi. Le lettere complessivamente gettano luce sulla Gallia ai tempi delle invasioni barbariche ed evidenziano come il magistero dottrinale di Sidonio abbia fortemente influenzato l’aristocrazia galloromana a ribellarsi alla minaccia della sua identità culturale contro i barbari invasori.

Lo stile e il lessico di Sidonio nell’epistolario

Lo stile di Sidonio, dunque, si presenta decisamente ampolloso, ricco com’è di un ampio e ripetutamente utilizzato repertorio di figure retoriche che vanno dall’iperbole alla metafora, dalla metonimia alla sineddoche: un’impostazione stilistica non a caso definita «preziosa» da Loyen (Apollinaire et l’esprit précieux en Gaule aux derniers jours de l’Empire, Paris 1943) e che Isabella Gualandri (Furtiva Lectio. Studi su Sidonio Apollinare, Milano 1979) ha saputo efficacemente illustrare.  Come afferma ancora Loyen, la cultura di Sidonio presenta due aspetti, scolastico e mondano: il primo è documentato dall’uso eccessivo della mitologia e delle retractationes, come le chiamavano i retori, e cioè metafore, perifrasi, enigmi; il secondo si esercita in un’atmosfera da salotto e in una conversazione brillante di begli spiriti, con le qualità più vistose che sono «facilità, ‘éclat’, virtuosità». Uno dei principali elementi di questa prassi retorica è quello che Sidonio stesso in epist. 9,7,2 definisce fulmen in clausulis (a questo tema ho dedicato un contributo disponibile qui: si tratta cioè di quei frequentissimi giochi di parole che non sono solo relegati in clausulis, ma si ritrovano anche nel corpo delle lettere. É del tutto evidente che traslare in un’altra lingua tali accostamenti verbali (per la verità anche piuttosto forzati già in latino) è un impegno che non sempre è stato possibile mantenere, nonostante la ‘neolatinità’ della lingua italiana. Nelle lettere di Sidonio ha ancora buon gioco una severa disciplina ortografica, alimentata da una indubbia correttezza grammaticale e da un incisivo uso del lessico. Il suo epistolario si giova di raffinate scelte stilistiche e di «tecnologie materiali, grafiche e linguistiche difficili e complesse da apprendere e usare» (A. Petrucci, Comunicazione scritta ed epistolarità, in Comunicare e significare nell’alto medioevo. Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull’alto Medioevo, Spoleto, 15-20aprile 2004, Spoleto 2005, p. 63).

Le traduzioni moderne dell’epistolario

Da un rapido excursus sulle traduzioni in altre lingue, in considerazione della collocazione geografica dell’attività di Sidonio, emerge che si sono sviluppati in area francese i primi tentativi di traduzione dell’intera sua opera, poi seguiti dalla traduzione di I.F. Grégoire e F.Z. Collombet (1836) e ancora da quella di E. Baret (1887). Alcuni anni dopo (1916) O.M. Dalton tradusse in inglese le epistole, corredando il suo lavoro di una attenta ricostruzione storica dei secoli V e VI. Non passarono molti anni e, sempre in lingua inglese, fu pubblicata, per la Loeb Classical Library, la traduzione di W.B. Anderson (1936): un lavoro ancora oggi imprescindibile per la persuasiva esegesi proposta dall’autore dei luoghi più controversi del testo. Altri contributi sono stati prodotti da A. Loyen nel 1970 con una pregevole traduzione francese e da Helga Köhler con la prima traduzione tedesca integrale dell’epistolario, tradotto anche in lingua catalana da J. Bellès.

La prima traduzione italiana dell’epistolario di Sidonio Apollinare

La prima traduzione italiana, appena pubblicata nella Collana di Testi Patristici di Città Nuova Editrice, si inserisce nel progetto internazionale di ricerche su Sidonio Apollinare nel XXI secolo (SAxxi) promosso dall’Università di Amsterdam e coordinato da G. Kelly e J.A. van Waarden. La traduzione è basata sul testo critico di Loyen cui ho talvolta apportato qualche limitata modifica nella punteggiatura, che comunque non incide sull’esegesi dei vari contesti. Invece, come già anticipato, ho seguito sempre le proposte di datazione delle lettere avanzate da Loyen che hanno il pregio di fondarsi sui riferimenti cronologici (spesso molto scarsi) presenti nell’epistolario, nonché sui Realien contenuti nelle sue note di commento.

Per la traduzione ho cercato di attenermi il più strettamente possibile al dettato del testo latino, destreggiandomi tra gli intricati giochi di parole tipici dello stile di Sidonio. Fin dove la lingua italiana lo permetteva, anche a costo di rendere talvolta meno fluida la traduzione, ho altresì mantenuto le continue paronomasie così care a Sidonio e in genere volte a mettere in evidenza significati opposti. Altro problema che si è cercato di risolvere – come credo – con buon senso è quello della continua alternanza tra il tu e il vos, che non è limitata alla diversità dei rapporti tra Sidonio e i destinatari ma sussiste anche nell’ambito della medesima lettera. In ragione della fedeltà al testo tràdito la scelta è stata quella di mantenere nella traduzione, in linea di massima, questo che si configura come un tratto caratteristico dei corrispondenti tardoantichi. 

In conformità con le norme della collana in cui è inserito questo volume la bibliografia si limita a registrare solo le opere e i contributi di carattere generale. Per un aggiornamento più completo si può fare riferimento al sito dedicato a Sidonio, curato da J.A. van Waarden, ormai imprescindibile strumento di lavoro per questi studi.

Concludendo, quale testimonianza più attendibile ci potrebbe essere delle difficoltà di penetrare e trasporre in altra lingua lo stile sidoniano attraverso i suoi lambiccati giochi di parole se non quella di un suo quasi contemporaneo come Ruricio (epist. 26), che preferisce affidare al figlio di Sidonio l’impresa dell’esegesi?


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