Giovanni Crisostomo si interroga sulla sofferenza del giusto e sull’esperienza del male in un fondamentale commento al libro di Giobbe

La prima traduzione italiana del Commento al libro di Giobbe di Giovanni Crisostomo

Nel volume n.256 della Collana dei Testi Patristici viene fornita per la prima volta la versione integrale del Commento a Giobbe di Giovanni Crisostomo (introduzione, traduzione e note di Lucio Coco, Città Nuova, Roma, 2018, pp. 256). Si tratta di un testo, probabilmente redatto negli anni in cui era sacerdote ad Antiochia (386-398), che impegna il padre greco in un imponente sforzo interpretativo in relazione ai grandi problemi teologici e spirituali che la sofferenza del giusto e la presenza del male impongono quando se ne voglia cogliere il senso e interrogarne il perché.
Nel raccontare la storia di Giobbe, il Crisostomo, fedele al modello ermeneutico di scuola antiochena, segue alla lettera il testo biblico.

Commento a Giobbe – collana Testi patristici

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Perché leggere i classici, perché leggere i Padri

In uno dei saggi della raccolta – assurta lei stessa ormai al rango di “classico” –  intitolata: Perché leggere i classici?, Italo Calvino tra l’altro scrive: «è classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno». Giocando con il titolo di Calvino, potremmo chiederci provocatoriamente: perché pubblicare i classici e in particolare i Padri della Chiesa? ha senso, oggi, editare opere di letteratura cristiana di millecinquecento o quasi duemila anni fa? A cosa serve tutto questo, se è vero che non troveremo tra quei classici manuali di istruzione per districarsi nella selva dei social network, oppure saggi economici per affrontare gli effetti di una pandemia così grave come quella con cui da alcuni mesi siamo costretti a convivere?

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