Con il nome di Pseudo-Dionigi Areopagita si indica convenzionalmente un autore cristiano di nome Dionigi vissuto nel V-VI secolo, che in passato era identificato con il Dionigi convertitosi al cristianesimo dopo aver ascoltato il discorso di san Paolo all’Areopago (Atti 17, 34). Dionigi è l’autore di famosi scritti come I nomi divini; Gerarchia ecclesiastica; Gerarchia celeste, Teologia mistica e Lettere.
L’importanza che lo Pseudo-Dionigi riveste all’interno della storia della letteratura cristiana antica è dimostrata dall’impressionante mole di commenti che furono prodotti fin dai primi anni di circolazione delle sue opere, e un mirabile esempio della precoce fortuna del Corpus Dionysiacum è rappresentato in particolare dagli scolii che furono composti già all’inizio del VI secolo dal dotto palestinese Giovanni di Scitopoli.
Le controversie cristologiche dopo il concilio Calcedonia
Che cosa c’è in comune fra le controversie cristologiche successive al concilio di Calcedonia e la recezione ecclesiale degli scritti dello Pseudo-Dionigi Areopagita? Che cosa collega questi due fenomeni tipici dell’Oriente cristiano della prima metà del VI secolo?
Si potrebbe pensare alla politica religiosa di Giustiniano, che dalla Collatio cum Severianis del 532 al concilio di Costantinopoli II del 553 cerca una pacificazione delle posizioni cristologiche contrastanti a favore del cosiddetto “neocalcedonismo”, ossia di quell’integrazione dell’ortodossia calcedonese con l’impostazione unitiva di Cirillo di Alessandria che si avvale anche di innovativi dispositivi teologici, quali la formula teopaschita dei monaci sciti e l’accentuazione del riferimento all’unica ipostasi del Verbo. Si potrebbe pensare anche alle saltuarie citazioni dello Pseudo-Dionigi in ambito miafisita – in particolare da parte di Severo di Antiochia – come auctoritas di età apostolica o, al contrario, al dubbio posto da Ipazio di Efeso sull’autenticità degli scritti dell’Areopagita, passibili di essere intesi come falsi apollinaristi.
Tuttavia, il collegamento più forte ed esplicito è costituito dalla figura e dall’opera di un autore palestinese, ben immerso nelle controversie teologiche del suo tempo e profondo conoscitore del Corpus Dionysiacum, tanto da diventarne il primo commentatore. È Giovanni di Scitopoli.
Giovanni di Scitopoli: un breve profilo biografico
Giovanni si pone al crocevia di questi due fenomeni: attivo nella difesa di Calcedonia già prima del 518, negli anni tra il 520 e il 530 scrive probabilmente da una parte il Contra Aposchistas e il Contra Severum – rivolti verso il miafisismo severiano – e dall’altra il Contra Nestorianos, contro il difisismo radicale, tanto da suscitare la reazione di Basilio di Cilicia. In seguito, dopo aver incontrato gli scritti dello Pseudo-Areopagita, negli anni della sua maturità, lo Scitopolitano si dedica alla pubblicazione del Prologo e degli Scholia al Corpus Dionysiacum, collocabili fra il 532 e il 544/545, cioè tra la Collatio cum Severianis voluta da Giustiniano e la prima condanna dei Tre Capitoli da parte dell’autorità imperiale.
Il commento allo Pseudo-Dionigi l’Areopagita
Se i trattati cristologici di Giovanni sono andati perlopiù perduti – se ne conservano soltanto citazioni in Severo di Antiochia e in Fozio e frammenti in alcuni florilegi antimonoteliti del VII secolo –, il commento agli scritti dello Pseudo-Areopagita ha avuto un grande successo: infatti, in quasi tutta la tradizione manoscritta greca – e, almeno in una seconda fase, anche latina e siriaca – il Corpus Dionysiacum viene copiato con il corredo interpretativo del Prologo e degli Scholia dello Scitopolitano, e proprio grazie a tale corredo viene recepito pacificamente in ambito ecclesiale per tutto il Medioevo, sia in Oriente che in Occidente.
Tuttavia, nel tempo l’opera di Giovanni era stata incrementata dagli interventi di altri commentatori, primo fra tutti da Massimo il Confessore, a cui a partire dal XIII secolo furono attribuiti sia il Prologo sia tutti gli Scholia, tanto che tutto il materiale fu pubblicato sotto il nome di Massimo da parte del Migne nel volume 4 della Patrologia Graeca; il nome di Giovanni di Scitopoli era stato quasi dimenticato, e i suoi commenti perlopiù ritenuti perduti.
Che cos’è di Giovanni?
Fu merito in particolare di Hans Urs von Balthasar di riportare alla luce l’apporto di Giovanni nell’interpretazione dello Pseudo-Dionigi: egli, raccogliendo l’eredità di alcuni studi precedenti, notò come la traduzione siriaca di Phocas bar Sergius (fine VII-inizio VIII secolo) non contenesse apporti di scoliasti greci successivi, ma soltanto l’opera di Giovanni di Scitopoli, senza le aggiunte di Massimo il Confessore. Di qui, si è aperta la strada all’individuazione di criteri per riconoscere i commenti autentici di Giovanni di Scitopoli: non soltanto il criterio esterno della versione siriaca – o di altri elementi derivanti dalla tradizione testuale greca o latina –, ma anche eventuali criteri interni di tipo stilistico e/o contenutistico, motivati dal fatto che probabilmente Phocas aveva omesso intenzionalmente alcuni scholia, perché non interessanti per l’ambiente siriaco o perché contrastanti con la sua impostazione miafisita. Questo lavoro filologico, che ha raggiunto importanti risultati per fornire una solida base per l’analisi dei testi autentici dello Scitopolitano, richiede però ancora ulteriori affinamenti: ben lungi dalla pretesa di trovare sempre criteri inoppugnabili, occorre percorrere la strada paziente delle soluzioni via via più probabili.
L’importanza teologica del commento di Giovanni di Scitopoli
In ogni caso, dalla lettura complessiva di questo corredo interpretativo emerge come l’impostazione indubbiamente neocalcedonese di Giovanni orienti il suo approccio alle opere dell’Areopagita: al di là delle posizioni cristologiche effettivamente sostenute dallo Pseudo-Dionigi, questi viene sottratto al conflitto delle interpretazioni suscitato dall’utilizzo dei suoi scritti in circoli severiani, per diventare di fatto un (neo)calcedonese ante litteram già in età apostolica. Viceversa, la difesa dell’ortodossia e dell’antichità del Corpus Dionysiacum rafforza gli obiettivi di fondo della teologia dello Scitopolitano, in sintonia con la politica religiosa imperiale: probabilmente consapevole della “finzione dionisiana”, egli considera questi scritti utili per promuovere una risoluzione dei conflitti cristologici postcalcedonesi. Giovanni di Scitopoli si pone così in un punto di passaggio cruciale della storia del pensiero, tra mondo tardoantico e bizantino, aprendo le porte all’accoglienza dell’Areopagita anche in Occidente, dove tanta parte avrà nella me
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