La collana “Nuovi Testi Patristici” di Città Nuova ospiterà, nelle prossime settimane, la prima edizione con traduzione e commento in lingua italiana delle Omelie contro i Pauliciani di Pietro Siculo. In questo quarto e ultimo post concludiamo il nostro breve viaggio nell’opera petrina con l’analisi delle ultime due omelie.
L’Omelia II: Maria Madre di Dio
Nei tre post precedenti abbiamo trattato della figura di Pietro Siculo e della sua Storia utile, conosciuto meglio la storia dei pauliciani, i capisaldi della loro dottrina. Ci siamo infine avvicinati alle omelie, scoprendo i motivi che indussero l’autore alla loro redazione gli argomenti che intendeva trattare e il metodo utilizzato per condurre a buon fine la propria indagine contro il Paulicianesimo. Concludiamo adesso questo percorso con l’analisi dell’Omelia II e dell’Omelia III le ultime facenti parte del corpus omiletico petrino.
La seconda omelia si apre con una breve invocazione di Pietro Siculo a Maria, affinché quest’ultima lo aiuti nel compito prefissatosi (§ 1). Solo dopo aver rivolto quest’accorata preghiera il nostro omileta introduce il tema dell’omelia: la posizione pauliciana, secondo la quale, la Vergine avrebbe mantenuto intatta la propria verginità solo fino alla nascita di Gesù per poi generare altri figli con Giuseppe (§ 2). Similmente all’Omelia I, anche qui apre la trattazione una citazione evangelica addotta dai pauliciani a sostegno della propria tesi, ovvero Mt 1, 24-25: «Giuseppe prese la sua sposa, ed egli non la conosceva, e continuò a non conoscerla fino a quando non diede alla luce il proprio figlio primogenito».
L’attenzione dell’omileta si rivolge subito a quel fino a quando (ἕως) che, per i suoi avversari, indicava la scadenza di un tempo determinato, quello della verginità Maria, conclusosi il quale ella avrebbe dato alla luce altri figli e fratelli di Gesù. Per Pietro Siculo la questione andava chiarita immediatamente e, forte del proprio arsenale scritturistico e patristico, risponde alla provocazione pauliciana ritenendola una cattiva interpretazione del testo basata su un estremo letteralismo. Il fino a quando, infatti, indicherebbe un tempo indefinito, che si riveste di un valore escatologico secondo la promessa di Gesù in Mt 28, 20.
Ciò premesso decade l’assunto pauliciano di una Maria non più vergine post partum e, con essa, l’idea che possa aver avuto altri figli da Giuseppe (§ 5). In una sorta di effetto domino emergono anche le altre contraddizioni pauliciane: i fratelli di Gesù ricordati nel NT indicano principalmente gli apostoli e gli uomini che lo sono per grazia (§§ 2, 11); l’incarnazione di Cristo, la sua natura divino-umana e il ruolo avuto da Maria sono confermati dal concorde racconto degli evangelisti e in modo così chiaro da minarne ogni lettura docetica; infine Giuseppe, sposo di Maria, in quanto uomo giusto, conoscitore della Legge mosaica e dei profeti, accettò di buon grado il ruolo di padre putativo di Gesù. Non solo, si rese custode della verginità di Maria senza mai di sfiorare colei attraverso la quale era avvenuta l’incarnazione poiché, in quell’evento, aveva potuto riconoscere l’inverarsi delle promesse profetiche (§§ 3-4, 6-10).
La tecnica di confutazione messa in atto nell’Omelia II è quella già nota. Ad ogni argomento corrisponde una selezione di passi neotestamentari per corroborare le posizioni ortodosse e rispondere a quelli addotti dai pauliciani. Alla questione dei fratelli di Gesù (ora intesi come fratelli germani) viene altresì dedicata ancora particolare attenzione nelle conclusioni (§ 11) lasciando la parola a Giuda Taddeo, l’autore dell’omonima lettera. Pietro Siculo redige allora una risposta agli increduli pauliciani, modellata su Gd 1-2, ponendola sulla bocca dell’apostolo. Quest’ultimo conferma che lui e i fratelli Giacomo, Ioses e Simone sono solo dei servi di Cristo e se vengono definiti suoi “fratelli” è solo perché nati da un precedente matrimonio di Giuseppe e non certo frutto dell’unione tra quest’ultimo e Maria.
Il tono a tratti veemente dell’omelia, quel senso di strenua difesa della dignità di Maria che percorre tutto il testo risponde all’importanza assunta progressivamente dal culto della Vergine quale protettrice non solo di Costantinopoli ma dell’Impero d’Oriente: un attacco contro di lei costituiva una sfida alla stessa identità politico-religiosa bizantina. Infine, l’enfasi posta su Madre di Dio quale modello di verginità e di ascetismo (§ 9) ben si attaglia a un uditorio monastico come quello a cui si suppone fossero indirizzate le Omelie.
L’Omelia III: l’eucarestia
La terza omelia è dedicata all’ istituzione e al significato ortodosso dell’eucarestia. Essa sottopone a indagine la dottrina pauliciana secondo la quale Cristo, offrendo ai propri discepoli pane e vino nell’Ultima Cena, si sarebbe espresso figurativamente (παραβολικῶς) senza compiere nessuna delle azioni tramandate dal racconto evangelico. Essa, in quanto conseguenza di una riflessione di stampo docetico, riteneva che il pane e il vino non si riferissero al corpo e al sangue di Cristo rappresentando simbolicamente (συμβολικῶς) gli insegnamenti da lui trasmessi e rivelati ai suoi discepoli.
L’argomento è introdotto da Pietro Siculo nel § 1 delineando i punti deboli degli avversari: i pauliciani non comprendono il racconto evangelico, non offrono motivazioni valide per contestarne la chiarezza e, non praticando il battesimo (perlomeno non nel senso ortodosso), non sono stati resi saldi nella fede venendo irretiti dal diavolo che li ha resi ciechi alla verità. Ben diversa l’attitudine ortodossa (§ 2) che, nelle parole pronunciate da Cristo, riconosce un onnipotente comando (παντοδύναμον πρόσταγμα) paragonato alle parole pronunciate da Dio al momento della creazione (Gen 1, 11). Comando rispettato dai sacerdoti che, nel celebrare il rito eucaristico, si conformano alle parole di Cristo, come le piante che continuano a crescere così come stabilito dal loro vero creatore dall’alba della creazione.
L’omelia prosegue al § 3 con un invito all’ascolto dei passi neotestamentari che confermano la posizione ortodossa perché riconducibili alla testimonianza di evangelisti e apostoli che, a questi eventi, parteciparono direttamente. Qui si conclude il testo, prima di passare ai testimonia anch’essi parziali, privandoci così del resto delle argomentazioni petrine.
Conclusioni
Le tre omelie di Pietro Siculo giunte sino a noi, e qui brevemente riassunte nei loro tratti salienti, oltre i limiti ideologici dell’eresiologia tardoantica e bizantina, permettono al lettore contemporaneo di osservare la permanenza e l’importanza decisiva che la riflessione d’età patristica mantenne nella produzione teologica del millennio bizantino. Punti di riferimento spirituali non meno che letterari, le parole dei Padri echeggiano nelle Omelie contro i Pauliciani ma senza che ciò privi il nostro scrittore di una sua originalità o autonomia di (ri)elaborazione. Certo, le fonti polemiche contro il Manicheismo offrivano modelli classificatori e confutatori imitabili e imitati, ma sbaglieremmo nel pensare che Pietro Siculo ne abbia fatto solo un uso passivo, meccanico o che la sua opera vada per questo liquidata senza assegnarle il giusto peso quale testimonianza preziosa nella comprensione di quei cristianesimi “diversi” antichi e medievali e della loro vicenda non solo teologica ma anche spirituale. Una storia che, in fondo, è ancora in parte da scrivere e comprendere perché ricca di sfumature e di elementi di riflessione che ci riportano a quel periodo formativo e decisivo che fu il Cristianesimo dei primi secoli. Non una stagione conclusa o lontana nel tempo, ma ancora capace di (in)formare chi sarebbe venuto dopo.
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