L’attualità del trattato su Gli otto spiriti della malvagità
Il nuovo volume edito da Città Nuova propone l’edizione critica di due antiche versioni latine de Gli otto spiriti della malvagità di Evagrio Pontico. Si tratta di un testo che ha avuto una ampissima diffusione non soltanto nell’originale greco, ma anche, attraverso numerose traduzioni, in moltissime altre lingue antiche e moderne. Esse costituiscono una palese testimonianza dell’interesse destato da questo manualetto in luoghi e tempi diversi (Cf. la vasta bibliografia, sempre aggiornata, curata da Joel Kalvesmaki per il sito evagriusponticus.net).
Se un tempo questa lettura era considerata adatta soltanto ai monaci, oggi è chiaro come gli esercizi per un miglioramento interiore proposti da Evagrio possano essere utili per tutti (cf. R. Alciati, Gli esercizi di Evagrio, Edizioni ETS, Pisa 2023, che si inserisce all’interno di una collana, Filosofie dell’esercizio, pensata per rispondere alla domanda “come dovrei vivere?” attraverso lo studio delle grandi tradizioni religiose, mediche e filosofiche di ogni epoca e di aree geografiche diverse).
Negli ultimi decenni molti studiosi e molti divulgatori hanno dunque pubblicato traduzioni de Gli otto spiriti della malvagità in tutte le principali lingue del mondo. Di seguito, alcuni esempi di queste pubblicazioni apparse in Italia: F. Comello, Evagrio Pontico. Gli otto spiriti malvagi, Pratiche editrici, Parma 1990; F. Moscatelli, Evagrio Pontico. Gli otto spiriti della malvagità, Sui diversi pensieri della malvagità, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, con varie riedizioni fino al 2023; B. Amico, Gli otto spiriti malvagi, StreetLib, 2017, ebook; Maria Bianca Graziosi, Otto spiriti maligni: Trattato sulla necessità di fuggire il vizio, Kindle Edition, 2016.
Le recensioni del testo
Quasi tutte le traduzioni moderne sono state condotte sul testo greco tramandato dalla Patrologia Graeca di Jacques Paul Migne (fondamentale raccolta di testi dei Padri della Chiesa in lingua originale, ma non editi criticamente, pubblicata a Parigi tra il 1857 e il 1866), in quanto ad oggi non esiste una edizione critica del testo di Evagrio. Certamente si tratterebbe di un lavoro molto complesso, che dovrebbe tener conto non soltanto della tradizione testuale di lingua greca (circa 80 manoscritti noti), ma anche di quella delle versioni nelle altre lingue, in quanto in grado di testimoniare uno stato del testo che spesso risale ad epoche piuttosto remote.
Anche se nel 1939 lo studioso Joseph Muyldermans (Une nouvelle recension du De octo spiritibus malitiae de S. Nil, Le Muséon, 52, 1939, p. 235-274) ha scoperto una recensione del testo greco più ampia di quella pubblicata nella Patrologia Graeca, non sono molte le traduzioni in circolazione che ne tengono conto. Tra esse, mi pare opportuno segnalare i lavori di Gabriel Bunge (Evagrios Pontikos, Uber die acht Gedanken, Echter, Wurzburg 1992), Robert Edward Sinkewicz (Evagrius of Pontus. The greek ascetic corpus, Oxford University Press, Oxford 2006) e, in lingua italiana, Lucio Coco (Evagrio Pontico. Sentenze, Gli otto spiriti della malvagità, Città Nuova, Roma 2010).
Le antiche versioni latine edite e tradotte nel nuovo volume, già segnalate da Muyldermans nell’articolo citato, appartengono proprio alla recensione più lunga, che, rispetto a quella del Migne, vede l’aggiunta di un grosso numero di sentenze in coda e di altre in ordine sparso. Seppure si tratti di pochissimi casi, alcune brevi porzioni del testo edito in Patrologia Graeca non trovano corrispondenza nelle versioni latine. Tali versioni non dipendono tuttavia da un medesimo testo greco: pur derivando dalla recensione più ampia, la Versione B si interrompe molto prima rispetto alla A. I nomi di Versio A e Versio B sono assegnati dalla Clavis Patruum Graecorum, n. 2451.
Il ruolo delle versioni latine nella definizione del linguaggio ascetico latino
Le versioni latine del De octo spiritibus malitiae sono state probabilmente preparate l’una (Versio B) nella prima metà del V secolo e l’altra (Versio A) alla fine dello stesso V secolo o, al massimo, all’inizio del VI. Si tratta di un periodo in cui il latino sta facendo proprio il linguaggio dell’ascesi cristiana, attraverso calchi dal greco o risemantizzazioni di termini preesistenti. Alla fine VI secolo, l’operazione sarà sostanzialmente conclusa e il lessico del monachesimo troverà la propria definizione. Uno degli esempi più lampanti di questa creazione è forse quello dei nomi assegnati dai traduttori e dagli scrittori di lingua latina a quelli che, in Occidente, diventeranno i vizi capitali.
Gli otto pensieri (λογισμοί), definiti anche demòni (δαίμονες), o spiriti (πνεῦματα), che scandiscono la divisione del libro in otto capitoli, sono quelli che Evagrio ha studiato e descritto in molte delle sue opere, in primis nel Trattato pratico, nell’opera denominata Sui diversi pensieri della malvagità, nei testi dedicati a Eulogio I vizi opposti alle virtù e Sulla confessione dei pensieri e consigli di vita. In moltissimi altri trattati ascetici Evagrio, pur non occupandosi esclusivamente di questi otto pensieri, ne fa comunque il cardine di un percorso che inizia con l’imparare a conoscerli nelle loro manifestazioni, poi a dominarli e infine ad allontanarli, per arrivare a una preghiera pura e senza distrazione. Gli otto pensieri sono: γαστριμαργία (follia del ventre), πορνεία (impudicizia), φιλαργυρία (amore per il denaro), ὀργή (ira), λύπη (tristezza), ἀκηδία (acedia, noia), κενοδοξία (vanagloria), ὐπερηφανία (superbia).
I termini con cui le due versioni latine de Gli otto spiriti della malvagità traducono i nomi dei λογισμοί possono essere facilmente confrontati con alcuni testi coevi o di poco successivi, per osservare come essi abbiano trovato una definitiva denominazione con l’opera di Gregorio Magno, ma attraverso il contributo di alcuni traduttori come i papi Giovanni e Pelagio (traducono gli Apophtegmata Patrum) o i monaci Martino di Braga (poi vescovo, traduttore ma anche scrittore di testi ascetici) e Pascasio di Dume nell’attuale Portogallo (ancora traduzione degli Apophtegmata Patrum). Non si possono ovviamente dimenticare gli scrittori della Gallia meridionali, tra i quali eccelle Giovanni Cassiano, che fu quasi certamente discepolo di Evagrio. Lo studio potrebbe essere molto articolato, in quanto gli scritti di cui tener conto sono certamente moltissimi, a partire da quelli coevi ad Evagrio (in particolare Gerolamo e Rufino) e tenendo conto anche delle antiche versioni latine di altri scritti evagriani arrivate fino a noi, ossia quelle delle Sententiae ad monachos (Patrologia Graeca 40, 1277-1282 = Patrologia Latina 20, 1181-1186 e J. Leclercq, L’ancienne version des sentences d’Evagre pour les moines, in «Scriptorium» 5, 1951, 195-213) e le Sententiae ad virginem (Patrologia Graeca 40, 1283-1286 = Patrologia Latina 20, 1185-1188 e Wilmart A., Les versions latines des Sentences d’Evagre pour les vierges, in «Revue Bénédictine» 28, 1911, 143-153).
La tabella inserita a conclusione di questo contributo è dunque un ridottissimo esempio che vuole mostrare l’evoluzione dei nomi latini degli otto pensieri, a partire da quelle che spesso furono semplici traslitterazioni fino ad arrivare ad elaborazioni ben più complesse. Le due versioni latine presentate nel volume si collocano evidentemente all’inizio di questo processo. Ho scelto di confrontarle con tre autori che si collocano in tre momenti e in tre aree geografiche diverse (Cassiano: Gallia meridionale inizio V secolo; Martino di Braga: attuale Portogallo VI secolo; Gregorio Magno: Roma fine VI secolo), ma che presentano in modo piuttosto chiaro una loro lista dei vizi.
Diego Marchini
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