L’A Diogneto come perla della letteratura cristiana antica
L’A Diogneto (II-III sec.), di cui patristics.it ha già parlato (vedi: Introduzione alla lettura dell’A Diogneto), suscita da sempre interesse per le sue qualità letterarie e teologiche. Breve e suddiviso in dodici capitoli, di cui solo i primi dieci sicuramente autentici, viene oggi ritenuto una tra le cose migliori composte dai cristiani dei primi secoli in lingua greca. Se ne apprezza lo stile brillante, lo sforzo di farne uno scritto retoricamente elevato, l’organica distribuzione del materiale e in specie il contenuto che in talune parti si presenta sommamente significativo e insieme accattivante.
Tra le molte espressioni di ammirazione dell’Ottocento nei suoi riguardi, vanno senz’altro menzionate quella di Sailer, che nel 1800 pone il giudizio «una perla dell’antichità cristiana» come sottotitolo della propria edizione, quella di Semisch, che nel 1855 scrive che è «un gioiello dell’antichità cristiana, al quale per spirito e forma compositiva praticamente nessuno scritto del tempo postapostolico sta alla pari», quella del grande Norden, che nel 1898 ritiene che tale opera rientri, quanto a contenuto, disposizione, mezzi stilistici e lingua, «fra quanto di più brillante i cristiani hanno scritto in greco». Poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, infine Marrou, il suo più noto editore e commentatore, dichiara non solo che esso «costituisce una testimonianza insigne della fede e della mentalità del cristianesimo antico», ma anche che «il teologo vi ricava, formulate con una limpidezza e una felicità d’espressione incomparabili, alcune tesi capitali sul ruolo dei cristiani nell’economia cosmica e nella storia: particelle d’oro puro che, da sé sole, giustificherebbero il lavoro minuzioso speso nello studio del nostro testo».
L’A Diogneto in alcuni fondamentali documenti del Vaticano II
Se i giudizi degli studiosi ne attestano una recezione in ambito scientifico, allo scritto neppure è mai mancata una certa popolarità presso i lettori non specialisti, di qualsivoglia appartenenza cristiana. Specialmente dopo il rinnovamento seguìto al concilio Vaticano II, quando l’A Diogneto a poco a poco si diffonde capillarmente negli ambienti cattolici.
Il Concilio stesso, del resto, lo richiama espressamente alcune volte, mostrando concretamente la propria stima verso questa antica testimonianza cristiana, ma in verità molte di più sono le allusioni a esso, implicite e nascoste, presenti nei suoi documenti. In particolare, uno dei più importanti, Gaudium et spes, è notevolmente permeato delle sue idee teologiche, specie in relazione al nucleo tematico concernente la modalità propria dei cristiani di partecipare alla vita del mondo. A questo preciso riguardo, occorre qui ricordare Giuseppe Lazzati, figura significativa dell’Italia politica, religiosa e intellettuale di quegli anni, che profonde per l’intera sua vita grande energia nell’approfondire e nel diffondere, a partire specie dalla lettura dei capitoli 5-6, l’idea e i modi di una presenza discreta e insieme operosamente santificante del credente nella società.
Per la precisione, il Concilio menziona, in vista delle proprie necessità, tre passi dello scritto (Lumen Gentium 38; Dei Verbum 4; Ad Gentes divinitus 15; ma è fondamentale anche l’allusione di Gaudium et spes 40) facendo sue posizioni culturali e teologiche precedentemente sviluppatesi, non senza acre avversione da parte degli ambienti più conservatori della Chiesa, in taluni settori progressisti del cattolicesimo, specie francese. Il Vaticano II, infatti, intende far compiere, alla Chiesa e ai cristiani nella missione verso il mondo, un vero e proprio “balzo in avanti”, per rifarsi a un’espressione di Giovanni XXIII, mediante il ritorno alle fonti della propria globale millenaria ricchezza, e tra queste risalta in modo del tutto particolare, dopo la Scrittura, la tradizione patristica. Non è dunque un caso che il ricordato eminente antichista e cristianista Henri-Irénée Marrou abbia pubblicato il proprio studio nel 1951, ossia negli anni precedenti al Concilio, e per l’ancora piccola, ma già innovativa, collezione patristica Sources Chrétiennes, all’epoca animata in particolare dai teologi gesuiti, poi cardinali, Jean Daniélou e Henri de Lubac. Accademia e impegno culturale in prospettiva ecclesiale, nella direzione di un profondo rinnovamento del paradigma dell’apostolato cristiano nella società, vengono così a trovare un fecondo punto d’incontro.
L’A Diogneto nella Lumen gentium
Sotto il profilo della cronologia dei documenti conciliari, la prima menzione dello scritto, che è forse la più importante e certo la più nota, è quella contenuta in Lumen gentium 38, ossia il numero conclusivo del capitolo 4 sui laici: «Ogni laico deve essere davanti al mondo il testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e il segno del Dio vivo. Tutti insieme, e ognuno per la sua parte, devono alimentare il mondo con i frutti spirituali (cf. Gal 5, 22) e in esso diffondere lo spirito, da cui sono animati i poveri, i miti e i pacifici, che il Signore nel vangelo proclamò beati (cf. Mt 5, 3-9). In una parola: “ciò che l’anima è nel corpo, questo siano nel mondo i cristiani”: Lettera a Diogneto 6)». Il testo conciliare pare quindi quasi riassumere tutto l’insegnamento sulla missione laicale con le parole del nostro scritto sulla famosa opposizione dialettica anima-corpo / cristiani-mondo.
Il luogo di A Diogneto 6, 1 menzionato da Lumen gentium 38 viene poi richiamato in Gaudium et spes 40 (la Chiesa è «quasi l’anima della società umana»). Se la forma dell’accenno è allusiva, esplicita è invece l’intenzione dei padri conciliari, come si evince dalla nota che accompagna il documento, che rimanda espressamente al testo e alla nota di Lumen gentium 38 in oggetto: «Perciò la Chiesa, che è insieme società visibile e comunità spirituale, cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio».
L’A Diogneto nella Dei Verbum
Successivo a quello di Lumen gentium 38, è il richiamo di Dei Verbum 4, che s’inserisce in una riflessione sul mistero dell’Incarnazione degna di nota per la ricchissima trama scritturistica (se ne riporta solo la parte iniziale): «Dio, dopo avere a più riprese e in più modi parlato per mezzo dei profeti, “alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e ad essi spiegasse i segreti di Dio (cf. Gv 1, 1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come “uomo agli uomini” (“homo ad homines” missus: Lettera a Diogneto 7, 4), “parla le parole di Dio” (Gv 3, 34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cf. Gv 5, 36; 17, 4)». Come si constata facilmente, l’unico testo non biblico di supporto al discorso è desunto dal nostro scritto.
L’A Diogneto nell’Ad Gentes divinitus
Infine, anche in Ad Gentes divinitus 15 si propone una significativa menzione del nostro scritto. Essa comunque si presenta leggermente sia adattata al contesto generale del discorso sia piegata alle finalità missionarie ed ecumeniche del tempo: «I fedeli, che da tutti i popoli sono riuniti nella Chiesa, “non sono separati dagli altri uomini né per governo, né per lingua né per istituzioni politiche” (Lettera a Diogneto 5); perciò debbono vivere per Iddio e per il Cristo secondo le usanze e il comportamento del loro paese: come buoni cittadini essi debbono coltivare un sincero e fattivo amor di patria, evitare ogni forma di razzismo e di nazionalismo esagerato e promuovere l’amore universale tra i popoli».
Le menzioni conciliari dello scritto conservano la loro massima importanza, in quanto il Vaticano II e tutta la sua preparazione sono stati per eccellenza “luogo” di ripensamento in toto della fede cristiana, ossia della presenza evangelizzatrice dei cristiani nel mondo, dove “mondo” significa in primo luogo società, cultura e politica.
Su questo fondamentale testo patristico, si veda ora la nuova edizione critica, commentata e tradotta: A Diogneto, a cura di Fabio Ruggiero, Città Nuova Editrice, Roma, 2020 (Nuovi testi patristici 1), 178 pp. ISBN 978-88-311-2700-4.
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