La croce e il creato

La figura della croce, strumento di tortura e punizione infamante, alla luce della credenza nella risurrezione di Gesù di Nazareth è ripensata dai Padri come segno di armonia e riunificazione del creato. La croce diventa così simbolo del riscatto del peccato di Adamo ed Eva: la connessione strettissima, già istituita in Paolo, fra peccato di Adamo, che solo basta a dannare l’umanità, e morte di Cristo, che la redime, genera dei paralleli fra Eden e Golgota, che si riflettono sul tema della croce. Così, un autore alessandrino come Clemente, profondamente allegorizzante, può interpretare l’albero della vita piantato nel giardino (Genesi 2, 9) come adombramento spirituale della croce; frutto di questo albero è la conoscenza, la gnosi:

Mosè, parlando in allegoria, chiamò l’intelligenza divina albero della vita piantato nel giardino, e il paradiso può essere interpretato come il cosmo, nel quale è racchiusa tutta la creazione. Qui fiorì anche il Logos e portò frutto diventando carne e vivificò coloro che gustarono la sua bontà, dal momento che a noi pervenne la gnosi non senza il legno; la nostra vita vi fu appesa perché credessimo.

Clemente di Alessandria, Stromati, 5, 11, 72.

A questa interpretazione allegorica si accompagna e contrappone nell’esegesi patristica un’interpretazione come quella di Agostino, che legge invece letteralmente e tipologicamente le vicende edeniche, quindi, le interpreta come accadute realmente, e allo stesso tempo, profezia del Cristo come sapienza:

Le parole che seguono: Dio inoltre piantò l’albero della vita nel centro del paradiso e l’albero della conoscenza del bene e del male dobbiamo considerarle con particolare attenzione per non essere costretti a intenderle in senso allegorico, come se questi alberi non esistessero [davvero] e, sotto il nome di alberi, simboleggiassero un’altra realtà. La Scrittura infatti dice della sapienza: Albero della vita è per tutti coloro che l’abbracciano con amore. Tuttavia, sebbene esista in cielo la Gerusalemme eterna, anche sulla terra è fondata una città che di quella è simbolo. […] Tutte quelle cose simboleggiavano qualcos’altro diverso da ciò ch’esse erano, ma tuttavia erano anch’esse delle realtà materiali. E quando l’agiografo ne parlava, il suo non era un parlare figurato, ma il racconto preciso di fatti reali che prefiguravano realtà future. V’era dunque un albero della vita […] Così anche la Sapienza, cioè lo stesso Cristo, è l’albero di vita nel paradiso spirituale, ove il Signore inviò dalla croce il buon ladrone, ma nel paradiso materiale fu creato anche un albero di vita che avrebbe simboleggiato la Sapienza.

Agostino, La Genesi alla lettera, 8, 4, 8 – 8, 5,9.

Ancora sull’interpretazione tipologica della croce

Il ricorso alla tipologia – l’individuazione di episodi della storia del popolo d’Israele come preannuncio degli eventi salvifici in Cristo – è quindi ampio e diffuso nei Padri: la croce è preannunciata nel serpente di bronzo che Mosè pone su un’asta e espone al popolo come strumento di salvezza (Nm 21, 4-9), o nelle braccia distese in preghiera di Mosè mentre il popolo combatte, da cui dipende la vittoria (Es 17,8-16) nell’episodio del profeta Eliseo che tira fuori dal fiume una scure con un legno (2 Re 6, 1-6).

 

 

La forma distesa delle mani sulla croce è essa stessa oggetto di riflessione dei Padri, divenendo, ad esempio, in Atanasio, un simbolo dell’abbraccio del Figlio al mondo, il popolo d’Israele e le genti:

Solo sulla croce si muore con le braccia distese. Così era giusto che il Signore subisse questa morte e distendesse le braccia per attirare a sé con uno l’antico popolo e con l’altro quanti provengono dalle genti, e riunire gli uni e gli altri in se stesso. Lo ha detto egli stesso indicando con quale morte avrebbe riscattato tutti: Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me [Gv 12, 31].

Atanasio, L’incarnazione del Verbo, 5, 25.

Giustino, uno dei primi difensori del pensiero cristiano nell’Impero, nella sua prima Apologia, coerentemente al suo sistema, che vede il pensiero greco dipendente dal sapere mosaico, individua nel Timeo di Platone una prefigurazione della croce, nel passaggio ove descrive la plasmazione dell’anima del mondo da parte del Demiurgo, che la compone a forma di X, che è per Giustino segno della croce (nonché prima lettera del nome Cristo in greco). La croce, dunque, preannunciata nelle Scritture e persino nella sapienza pagana, è simbolo di unità cosmica del creato. Come scrive Gregorio di Nissa, essa “stringe e congiunge a sé l’intero universo riunendo mediante la sua persona le diverse nature degli esseri in una sola concordia e in un’unica armonia” (Gregorio di Nissa, La Grande Catechesi, 32, 2.)

 

Maria Fallica

 


Maria Fallica

È assegnista di ricerca in Storia del cristianesimo presso il Dipartimento di Storia Culture Religioni della Sapienza Università di Roma. I suoi principali ambiti di ricerca sono la ricezione di tradizioni e autori patristici nel Cinquecento, Erasmo da Rotterdam e la sua ricezione, la Riforma italiana, le origini del metodismo inglese e il suo fondatore John Wesley. Tra le sue pubblicazioni, ricordiamo il volume I metodisti nello spazio pubblico. Diritti e giustizia sociale fra Europa, Asia e America, a cura di Maria Fallica, Carocci, Roma 2020.

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