Gregorio Nazianzeno, Poesie

Gregorio Nazianzeno, un profilo biografico

Nel contesto della vita della Chiesa di IV sec. spicca, accanto ad Atanasio d’Alessandria, Basilio di Cesarea e Gregorio Nisseno, la figura di Gregorio Nazianzeno, per i Bizantini “il Teologo” per antonomasia. Con la sua opera, il suo magistero e la sua raffinata paideia, egli lasciò un’impronta profonda sul dibattito dottrinale della sua epoca, contribuendo in maniera determinante alla lotta contro gli eretici (in primis ariani e pneumatomachi), alla definizione e precisazione della teologia trinitaria e al corretto inquadramento del problema cristologico, emerso in tutta la sua complessità con Apollinare di Laodicea e destinato a dominare il dibattito teologico dei secoli successivi. La sua produzione letteraria comprende 45 Orazioni (di cui una – la 35 – spuria), un ricco epistolario ed un massiccio corpus di poesie, «185 carmi di vario genere e più di 250 tra epigrammi ed epitafî, per un totale di oltre diciottomila versi» (C. Moreschini, I Padri Cappàdoci. Storia, Letteratura, Teologia, Città Nuova, Roma 2008, p. 142).

I Carmi di Gregorio Nazianzeno

A differenza delle Orazioni e delle Epistole, per le quali si dispone di edizioni critiche complete (Epistole) o quasi (Orazioni), allo stato attuale ancóra non esiste per i Carmina un’edizione critica complessiva: un progetto editoriale in tal senso era stato avviato, ad inizio Novecento, dalla Accademia Polacca delle Scienze su impulso di Ulrich von Wilamowitz Moellendorff, ma, a causa anche delle drammatiche vicende che scossero la prima metà del secolo, esso non giunse mai a compimento. A partire dall’immediato secondo dopoguerra, tuttavia, l’edizione del carme I 2, 8, ad opera di Martin Heinz Werhahn (1953), inaugurò un nuovo modus operandi, volto a fornire l’edizione e il commento di singoli carmi o gruppi di poesie, senza arrischiarsi in imprese di piú ampio respiro (cfr. in generale R. Palla, «‘Edizioni antiche’ ed ‘edizioni moderne’ dei Carmi di Gregorio Nazianzeno», in M. Cortesi [a cura di], Leggere i Padri tra passato e presente [Atti del Convegno internazionale di studi, Cremona, 21-22 novembre 2008], Firenze 2010, pp. 127-143). Questo nuovo approccio produsse notevoli frutti, portando alla pubblicazione, tuttora in corso, di un considerevole numero di carmi.

La traduzione siriaca dei Carmi

Nell’àmbito di tale lavoro ecdotico, gli studiosi (ricordiamo in particolare, in ordine cronologico, Roberto Palla, Carmelo Crimi, Claudio Moreschini), riprendendo un’intuizione di Leon Sternbach del 1927, evidenziarono l’importanza, ai fini della constitutio textus, dell’apporto della tradizione indiretta, in particolare della tradizione siriaca: quest’ultima, infatti, a motivo della sua grande antichità, ci riporta ad uno stadio della tradizione anteriore al metacharakterismòs bizantino (prima metà del IX sec.), piú antico di quello attestato dalla tradizione diretta. Ci sono pervenute collezioni piú o meno ampie di Carmina gregoriani in traduzione siriaca, trasmesse da diversi manoscritti: i testimoni piú importanti sono il Vaticanus Syriacus 105 (ormai rivendicato al IX sec.), che raccoglie 131 componimenti, e alcuni codici della British Library (Add. 14547, 14549, 18815, 18821). I carmi contenuti nel Vat. Syr. 105 furono pubblicati nel 1895 dal gesuita Johannes Bollig, mentre per i codici britannici l’edizione fu data l’anno seguente da Enrico Gismondi, anch’egli della Compagnia di Gesù.

I traduttori

Conosciamo dalle fonti siriache il nome di tre traduttori: Candidato di Amida, cui il Vat. Syr. 96 attribuisce la versione di 17 Carmina, compiuta nel 664/665 (a noi resta, nello stesso manoscritto, solo un breve frammento, corrispondente a carm. II 1, 1, vv. 1-82); Teodosio, metropolita di Edessa e fratello del patriarca di Antiochia Dionisio di Tell-Maḥre, che completò la sua traduzione dei Carmi nell’802/803; infine il monaco Rabban Gabriel, della cui versione siamo informati dal Patriarca siro-orientale Timoteo I (epist. 24). Il tentativo di individuare la paternità delle versioni presenti nei manoscritti a noi noti – alcuni dei quali peraltro oggetto di datazioni contrastanti da parte della critica – ha dato vita ad un lungo e vivace dibattito fra gli studiosi. Un importante punto di svolta si è avuto nel 1913 con la pubblicazione di uno studio di Willy Lüdtke («Zur Überlieferung der Reden Gregors von Nazianz», in Oriens Christianus N.S. 3/1, 1913, pp. 263–276), che evidenziava la coincidenza fra la versione del carme I 1, 16 A e B del Vat. Syr. 105 e quella dello stesso testo contenuta nel Vat. Syr. 96, dov’è espressamente attribuita a Teodosio: a questo punto non sembravano sussistere piú dubbî sulla paternità teodosiana della versione siriaca dei Carmina – o almeno di gran parte di essi – tramandata dal Vat. Syr. 105 e delle sezioni ad essa sovrapponibili presenti nei manoscritti britannici.

Nuove prospettive di ricerca sui Carmi siriaci

Nel 2009, tuttavia, la questione è stata riaperta da Sebastian Brock, vera e propria auctoritas nel campo della siriacistica: lo studioso britannico, in una lettera indirizzata a Christos Simelidis (riportata in Ch. Simelidis, Selected Poems of Gregory of Nazianzus. I.2.17; II.1.10, 10, 32, Göttingen 2009, p. 90), propone una datazione piú alta del Vat. Syr. 105 (VIII sec. ca.) e della traduzione, che a suo avviso rivelerebbe una facies linguistica di VI-VII sec. (preferibilmente di VII sec.). Tale prospettiva è stata contestata da Emiliano Fiori in un recentissimo lavoro (Appendice seconda: la traduzione siriaca, in A. Conte [ed.], Gregorio Nazianzeno. Tra autobiografia e teologia [carm. II,1,68. II,1,30], Pisa 2020, pp. 223-255), non solo alla luce del dato inconfutabile fornito da Lüdtke, ma anche per motivazioni di ordine paleografico e linguistico: in particolare, la tecnica di traduzione adoperata, ispirata ad un letteralismo temperato, ben risponderebbe al metodo seguíto nel monastero di Qennešrē, al quale Teodosio era legato. Della traduzione di Rabban Gabriel non sembrano invece sopravvivere reliquie. Attualmente è in atto un tentativo di superare le ormai datate edizioni di Bollig e Gismondi, producendo nuove edizioni critiche dei carmi di Gregorio in traduzione siriaca. Al momento, oltre al lavoro già citato di E. Fiori, relativo ai carmi II 1, 68 e II 1, 30, è disponibile l’edizione, da me curata, del primo Carmen Arcanum, corrispondente a carm. I 1, 1 secondo la numerazione dei Maurini («Appunti sulla tradizione siriaca delle opere di Gregorio Nazianzeno», in Κοινωνία 41, 2017, pp. 607-635).


Antonio Stefano Sembiante

Antonio Stefano Sembiante (Santa Maria Capua Vetere, 1989) ha conseguito, nel maggio 2020, il dottorato di ricerca in Filologia presso l'università degli studi di Napoli "Federico II", discutendo una tesi in letteratura greca dedicata ai "Carmina Arcana" di Gregorio Nazianzeno (Ricerche sui Carmina Arcana di Gregorio Nazianzeno. Teologia trinitaria in versi: Arcana 1-3). I suoi interessi scientifici si rivolgono alla letteratura greca tardoantica, in particolare a Gregorio Nazianzeno e alla sua produzione poetica, e allo studio delle traduzioni dal greco al siriaco. Parallelamente alla ricerca, coltiva la passione per la musica, svolgendo attività concertistica come pianista

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