«L’anima e la sua origine» di Agostino: una recentissima edizione bilingue di un testo da riscoprire
A distanza di un paio d’anni dal primo volume, dedicato all’A Diogneto, esce ora un altro libro nella collana dei Nuovi Testi Patristici di Città Nuova, casa editrice che più di ogni altra si è distinta in Italia per la pubblicazione degli scritti di autori cristiani antichi. L’autore questa volta è nientemeno che sant’Agostino, senza dubbio il più famoso e il più letto in assoluto tra tutti i Padri della Chiesa. L’opera in questione, invece, è forse una delle meno conosciute dell’immenso catalogo agostiniano, e tuttavia meritevole di essere riscoperta sia per il tema che discute sia per il modo in cui lo affronta. Si tratta de L’anima e la sua origine, un testo risalente agli anni 419/420, curato in edizione latino-italiana da due noti specialisti dell’Università di Padova: Giovanni Catapano, che ha lievemente emendato il testo dell’edizione critica di Joseph Zycha (CSEL 60, 1913), e soprattutto Enrico Moro, che ha firmato l’introduzione, la traduzione e le note di commento.
La breve ma sostanziosa introduzione di Moro ci spiega la ragione che portò Agostino a scrivere i quattro libri in cui l’opera si suddivide: il primo al monaco Renato, il secondo al presbitero Pietro, il terzo e il quarto al giovane laico Vincenzo Vittore. Vittore aveva avuto accesso a una lettera sull’origine delle anime umane indirizzata da Agostino al vescovo spagnolo Ottato (la 190) e aveva pubblicamente rimproverato le esitazioni agostiniane in merito, a quanto pare (secondo le informazioni fornite da Renato) con l’approvazione di Pietro. Agostino volle rispondere a tutte le persone coinvolte, difendendo la propria cautela su una questione così complessa e oscura. Il risultato può essere letto come una persuasiva apologia del dubbio non solo sul punto specifico oggetto del dibattito, ma in generale su tutto ciò che, nella dottrina cristiana, non possa essere provato con inequivocabili evidenze scritturistiche e/o razionali: un monito perennemente attuale per teologi e filosofi, e non solo per loro.
Il contenuto dei libri de «L’anima e la sua origine»
Vediamo in sintesi il contenuto dei quattro libri.
Nel libro primo Agostino ringrazia la fedeltà e la cura dell’amico Renato, che gli ha fatto conoscere lo scritto in cui Vincenzo Vittore, oltre a sostenere idee completamente contrarie alla fede cattolica, muoveva delle critiche al vescovo di Ippona. Agostino chiarisce i punti toccati da Vittore affinché Renato non rimanga confuso circa la corretta dottrina cattolica.
Il libro secondo è indirizzato al presbitero Pietro che, malgrado il suo ruolo nella Chiesa, ha apprezzato gli insegnamenti erronei di Vittore. Davanti a tale motivo di scandalo, Agostino si sente in dovere di esortare Pietro e si mostra deluso per il comportamento del presbitero. Come ha fatto con Renato, il vescovo di Ippona sottolinea gli errori commessi da Vittore affinché Pietro non si renda corresponsabile della loro diffusione.
Nelle prime righe del libro terzo, Agostino si rivolge a Vincenzo Vittore come “figlio”, perché desidera correggerlo con amore, com’era nel suo carattere, senza l’intenzione di umiliarlo; ciò nonostante, non tralascia di essere duro a proposito dagli errori da lui commessi. Attraverso la lettura dei due libri di Vittore, il vescovo deduce il passato da rogatista del giovane (il rogatismo era un movimento religioso separatosi dai donatisti). Nonostante la sua gioia per la conversione di Vittore al cattolicesimo, Agostino si rattrista per la scelta del giovane di essere chiamato anche Vincenzo – allusione diretta al vescovo rogatista di cui Vittore era stato seguace – e per la presenza negli scritti di Vittore di tante idee legate ancora al suo passato e non in accordo con la fede cattolica.
Dopo le esortazioni iniziali, Agostino elenca undici errori capitali commessi da Vittore nei suoi libri. All’inizio dell’esposizione di ciascuno, il vescovo di Ippona avverte: «Se vuoi essere cattolico, rinuncia a credere, a dire, a insegnare che» ecc.; con ciò, vuole dimostrare chiaramente che le tesi difese da Vittore non fanno parte dei precetti cattolici.
Tra gli undici errori corretti da Agostino, eccone ad esempio quattro: (a) l’anima è creata non dal nulla, ma dalla stessa natura di Dio: errore tanto più grave per il fatto che Vincenzo concepisce la natura dell’anima come mutevole (giustamente) e come corporea (erroneamente); (b) Dio dà le anime per un tempo infinito: ciò chiaramente è sbagliato, perché ci sarà un tempo in cui gli uomini cesseranno di nascere; (c) l’anima ha perduto dei meriti conseguiti prima della nascita a causa della sua unione con la carne: l’anima, invece, non ha perso assolutamente niente perché, prima di nascere, non ha fatto nulla di bene o di male; (d) gli infanti predestinati al battesimo possono morire prima di riceverlo: non ha senso, però, affermare che Dio potrebbe predestinare qualcosa che sapeva non sarebbe accaduto, perché, se così fosse, o la predestinazione sarebbe frustata o la prescienza divina sarebbe frodata.
Dopo aver ammonito Vittore, Agostino fa appello alla sua sincerità d’animo e lo prega di correggersi immediatamente da tali errori.
Nel libro quarto Agostino riferisce i rimproveri mossigli espressamente da Vittore e non può non fargli notare che l’averlo paragonato a una bestia, per la sua ammissione di non conoscere pienamente l’origine dell’anima, è stata un’offesa molto grande. La prima volta che Vittore aveva rimproverato Agostino era stata, infatti, a proposito della sua professione di ignoranza circa l’origine delle anime umane, cioè l’origine di sé stesso: senza timore, il vescovo confessa di non sapere da dove la propria anima abbia tratto origine e si chiede se tale questione non sia da annoverare tra quelle che, essendo più alte delle nostre capacità, non devono essere ricercate, secondo l’ammonimento del Siracide (3, 21-22). «Siamo noi ciò che noi non siamo capaci di comprendere, noi, più alti e più forti, superiamo la misura della nostra scienza» (IV, vi, 8). Il secondo rimprovero fatto da Vittore ad Agostino concerneva la natura dell’anima e i significati di “anima” e “spirito” nella Scrittura. Agostino qui ribadisce con convinzione e con solidi argomenti la sua opinione sull’incorporeità dell’anima: non perché l’anima ha una forma, ha anche un corpo; ciò che appare in visione e nei sogni non sono corpi, ma immagini incorporee simili a corpi. Lo spirito è la mente, o meglio la parte intellettiva dell’anima. L’anima, a volte, riceve il nome di “spirito” nel linguaggio della Scrittura soltanto perché è spirituale anziché corporea.
Nel discutere gli argomenti e gli esempi scelti da Vittore, spesso Agostino tende a mostrare che essi non sono adeguati né sufficienti per sostenere le conclusioni del giovane.
Una geniale esortazione di Agostino in chiusura dell’opera
Il vescovo di Ippona conclude il libro auspicando di aver persuaso Vittore a proposito dei punti da emendare e raccomandandogli di non desiderare di essere chiamato Vincenzo, se vuole davvero vincere gli errori. Verso la fine del libro e dell’opera, leggiamo un’esortazione che suona straordinariamente attuale, in un’epoca come la nostra in cui tanti pretendono di sapere una verità nascosta ai più e di avere una risposta vera per tutte le domande: «Quando non sai qualcosa, non stimare di sapere, ma, per sapere, impara a non sapere. Non è infatti ignorando qualcosa nelle misteriose opere di Dio che si pecca, ma sostenendo temerariamente cose ignote come note, e affermando e difendendo cose false come vere» (IV, xxiv, 38). Non fosse altro che per questa efficacissima esortazione finale, valeva senz’altro la pena riproporre, per noi lettori di oggi, questo stupendo testo di Agostino.
Yara Medeiros
(Universidade do Porto)
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