La collana “Nuovi Testi Patristici” di Città Nuova ospiterà, nelle prossime settimane, la prima edizione con traduzione e commento in lingua italiana delle Omelie contro i Pauliciani di Pietro Siculo. In questo terzo post entriamo nel merito dell’opera, analizzandone la struttura generale e gli argomenti affrontati nella prima omelia.
Il piano originario dell’opera
Nei precedenti due post la nostra attenzione si è concentrata sulla figura di Pietro Siculo e sul ruolo che la sua opera principale, la Storia utile, riveste nella nostra comprensione del pensiero pauliciano. In questo terzo post non solo osserveremo come lo schema individuato dal nostro autore nella Storia utile influenzi quello seguito nella redazione delle omelie ma, al contempo, entreremo nel merito delle stesse attraverso l’analisi dei temi trattati nell’ Omelia I.
Dei sei punti contestati ai pauliciani Pietro Siculo offriva, nella Storia utile, uno schema e una trattazione generali. La sua attenzione, rivolta alla ricostruzione della vicenda storica del Paulicianesimo e dei suoi didaskaloi, non approfondisce del tutto il dato teologico-dottrinale pur sapendo quanto tale aspetto necessiti di un impegno specifico. Indirizza perciò ad altri testi, da lui stesso approntati, che avrebbero fornito le risposte necessarie oltre a offrire strumenti utili per controbattere gli avversari sul tema dell’esegesi delle Scritture e della loro interpretazione in chiave dualistica. Quei testi sono, appunto, le Omelie.
Tradizionalmente considerate una raccolta redatta di pari passo con la Storia utile o, al limite, poco dopo, esse vi dipendono da un punto di vista ideale pur sviluppando tematiche e argomentazioni in modo indipendente rispetto all’opera originale. Nel piano originario previsto da Pietro Siculo, le Omelie sarebbero state sei: una per ciascuna delle “verità di fede” pauliciane. A caratterizzarle è la presenza, in chiusura, di una serie di testimonia, ovvero un elenco composto da citazioni scritturistiche tratte dal Nuovo Testamento e inerenti al tema trattato alcune delle quali, inoltre, oggetto d’analisi all’interno delle Omelie. Un vero e proprio florilegio redatto per confermare la correttezza dell’esegesi ortodossa e a beneficio del lettore che vi avrebbe trovato passi scelti da poter impiegare in un’ipotetica disputa. Ulteriore dimostrazione della centralità delle Scritture nel dibattito antipauliciano. Purtroppo il ms. Vat. gr. 511, unico testimone, ci ha restituito solo due omelie integre e una terza, invece, parziale. Potrebbe anche darsi che il nostro autore non sia riuscito a ultimare la propria impresa pertanto, ammesso che l’individuazione di altri mss. non offra l’opportunità di poter accedere all’intero corpus di Pietro Siculo le restanti omelie sono, ad oggi, da considerarsi se non mai scritte certo perdute.
Un prologo introduttivo
A inaugurare la trattazione è un breve prologo (posto in apertura dell’Omelia I) nel quale, a seguito di una professione di fede, Pietro si rivolge a una “santissima assemblea”. Il suo pubblico era quasi sicuramente monastico e forse costituito – dando credito a quanto da lui stesso anticipato sin dal titolo della Storia utile – da quei monaci bizantini di stanza in Bulgaria: la terra in cui i pauliciani intendevano inviare una propria missione.
Dubbi sull’uditorio compensati da una chiara esposizione del metodo prescelto nelle omelie per confutare le dottrine pauliciane. Esposte e poi analizzate partendo dalle Scritture neotestamentarie in comune con gli ortodossi e che, nello specifico, costituiscono il canone pauliciano. Questo modus operandi, incalza l’omileta, è necessario perché proprio sulle Scritture e la loro lettura allegorica il Paulicianesimo giustifica il proprio dualismo e la propria cristologia docetica. È per questo motivo che le Omelie presentano un alto numero di citazioni e allusioni scritturistiche. Meno esibito è invece il dato patristico ma, a ben vedere, si tratta di una scelta voluta. Profondo conoscitore della letteratura eresiologica e polemica del IV-VI sec. e successiva, Pietro, pur non citando direttamente le proprie fonti, le integra nel testo rimodulandole e adattandole ai propri fini polemici. Ecco allora emergere, ad una lettura approfondita, i riferimenti alle fonti di riferimento: Cirillo di Gerusalemme, Epifanio di Salamina, Egemonio e, non ultimo, Giovanni Damasceno.
L’Omelia I: il dualismo
La prima omelia – la più lunga – è incentrata sul tema del dualismo pauliciano che Pietro Siculo subito connette a quello manicheo (§ 2, 1). L’analisi prende le mosse da alcuni passi tratti dal Vangelo giovanneo e dalle lettere paoline addotti a propria difesa dai pauliciani. Il primo (Gv 5, 37-38) sostiene le difficoltà degli ortodossi nel comprendere appieno il dettato delle Scritture, mentre i successivi (2 Cor 4, 4; Ef 2, 2; Gv 14, 30) confermerebbero come il diavolo, definito il principe di questo mondo (ὁ ἄρχων τοῦ κόσμου τούτου), sia da identificarsi con il principio/Dio malvagio, signore e creatore di questo mondo, contrapposto al principio/Dio buono signore dei cieli e del secolo futuro.
La prima sezione dell’omelia (§§ 3-10) è incentrata proprio sulla corretta interpretazione da dare al titolo di principe di questo mondo che, secondo Pietro Siculo, i pauliciani impiegherebbero per indicare il diavolo quale autore della creazione e suo signore. Lo scopo dell’omileta è pertanto dimostrare l’esistenza di un solo Dio: creatore del cielo e della terra e Padre di Gesù Cristo. Seguendo i princìpi esegetici esposti nel prologo, con un succedersi di passi neotestamentari analizzati secondo la tradizione esegetica patristica e bizantina (§§ 8-9), l’omileta ricorda che il titolo di principe di questo mondo è ben lungi dal possedere valenze onorifiche o indicare un dominio sul creato.
Il potere diavolo è effimero e si esercita sugli uomini attraverso l’idolatria, il peccato, l’inganno, l’irrazionalità e il desiderio delle cose terrene rinunciando a quelle celesti. Nulla che non possa essere vinto tramite la penitenza, la lotta spirituale, la conversione e la corretta interpretazione delle Scritture: il diavolo è signore e dio di coloro che lo scelgono come tale. Basta osservare il creato per capire che, se questi ne fosse stato l’autore, lo avrebbe sconvolto e irrimediabilmente mutato. Invece non ha potere su nessuno dei suoi elementi e su nessuna delle sue creature che continuano a sussistere seguendo il comando divino che fu loro impartito al momento della creazione (Gen 1, 8). E se pure può sembrare il contrario – come nell’episodio dei porci indemoniati condotti alla morte (Mt 8, 28-34; Mc 5, 1-20; Lc 8, 26-39) – ciò avviene solo perché Dio lo ha concesso.
La seconda sezione dell’omelia (§§ 11-17) prende le mosse da Gv 5, 37-38: «non avete udito la sua voce né scrutato il suo volto e non avete la sua parola che dimora in voi». Passo che i pauliciani adducono contro l’incarnazione di Cristo, sostenere l’inconoscibilità e l’invisibilità di Dio, confermare la validità di una lettura docetica delle Scritture. Pietro Siculo impiega anche qui il suo consueto metodo esegetico: una serie di citazioni evangeliche e paoline che rispondono al docetismo degli avversari. I Vangeli e gli altri libri del NT confermano la realtà fisica dell’incarnazione di Cristo: visto, udito e persino toccato dagli uomini e dai suoi apostoli sia prima che dopo la sua morte e resurrezione (§§ 11-13). Mentre, per il tema della inconoscibilità di Dio (§§ 14-16), l’insegnamento ortodosso offre una risposta altrettanto adeguata affermando che, per quanto Dio non sia visibile con gli occhi della carne, all’uomo è permesso farlo intellettivamente (νοερῶς), partecipando delle energie divine ma solo se egli lo vuole perché, se anche Dio desidera la salvezza di tutti gli uomini, non è sua intenzione operare costrizioni negandone il libero arbitrio.
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