La casa editrice Città Nuova ha avuto la lodevole iniziativa di pubblicare la traduzione italiana di un testo chiave per lo sviluppo della Chiesa all’interno dell’occidente cristiano, di grande diffusione e influenza nel Medioevo, ma oggi infelicemente dimenticato come il suo autore: il De vita contemplativa di Pomerio, opera tradotta e curata da Mario Spinelli. È quindi interessante mettersi sulle tracce di questo autore, che lo stesso Spinelli definisce, attraverso un efficace ossimoro, un “illustre sconosciuto”
La vita di Pomerio tra l’Africa e la Gallia
Nel cercare di ricostruire l’oscura vita di Pomerio, le prime difficoltà iniziano già nell’identificare il luogo e la data di nascita: si può ritenere che Pomerio provenga dal nord Africa, o dalla provincia della Mauretania, anche se le fonti non permettono di individuare il luogo della sua nascita con maggior precisione. La sua data di nascita può essere collocata intorno alla metà del V secolo.
Poco o nulla si può dire sulla sua educazione e sulla sua attività in Africa: gli agiografi di Cesario di Arles riportano che in Africa Pomerio era stato un retore molto apprezzato e Spinelli, considerato l’elevato livello culturale di Pomerio, formula tre ipotesi: la prima, che egli fosse di ricca famiglia, la seconda, che egli avesse ricevuto un’ottima educazione sia retorica che religiosa, infine, che egli si fosse trasferito in un grande centro per perfezionare i suoi studi.
Le cause e il periodo del trasferimento di Pomerio nel sud della Francia non sono facilmente individuabili. Sicuramente si trovava già ad Arles negli ultimi anni del V secolo, come si può ricavare dai suoi rapporti con Cesario, Eonio vescovo di Arles, Firmino Arelatense, Ruricio di Limoges ed Ennodio di Pavia. A condurlo in Gallia fu probabilmente la fuga dalle persecuzioni dei Vandali, di fede Ariana, nei confronti dei cristiani fedeli all’ortodossia nicena.
La tradizione non ci ha trasmesso con chiarezza l’attività svolta da Pomerio durante il suo soggiorno ad Arles. Possiamo ipotizzare che grazie alle abilità retoriche e alle sue influenti amicizie si sia inserito senza eccessive difficoltà nel tessuto della società arelatense. Verosimile che egli abbia frequentato la casa del patronus Firmino, contribuendo alla formazione di alcuni giovani dell’aristocrazia locale, così come accadde a Cesario. È probabile che in seguito Pomerio abbia abbandonato la sua precedente attività di retore per entrare nei ranghi ecclesiastici.
L’ultima lettera di Ennodio indirizzata a Pomerio è databile poco dopo al 513: questa data è l’ultima in cui possiamo affermare con certezza che Pomerio fosse ancora in vita. Se si considera che la sua nascita è collocata intorno alla metà del V secolo, possiamo ipotizzare che non sia rimasto ancora in vita a lungo e la morte sia collocabile non molto tempo dopo l’epistola di Ennodio, quindi nel secondo decennio o nel terzo decennio del VI. Pomerio avrebbe ancora assistito all’ascesa del suo allievo Cesario al soglio episcopale.
Pomerio e il De Vita Contemplativa
È probabile che il De Vita Contemplativa, lavoro senile di Pomerio, non sia stata concepito originariamente come un’opera unitaria: non pare impossibile ipotizzare che sia il risultato dell’aggregazione di più trattati originariamente indipendenti, e solo successivamente rielaborati e riorganizzati in un unico testo dall’autore stesso. In particolare, il terzo libro del De Vita Contemplativa potrebbe in parte corrispondere a una successiva edizione del trattato De vitiis et virtutibus, noto in forma indipendente ad alcuni scrittori dei suoi tempi come lo Pseudo-Gennadio.
L’opera è strutturata seguendo i canoni di un dialogo filosofico di origine platonico-aristotelica, dove Pomerio sembra immaginare ed anticipare le reazioni dell’episcopus Iulianus, cui rivolge talvolta direttamente la parola instaurando una vera e propria conversazione. Sono molto evidenti gli influssi di Agostino, cui lo stesso Pomerio ammette apertamente di essersi ispirato.
Gli argomenti che vengono discussi nell’opera seguono i dieci temi delineati da Pomerio nel prologo del primo libro: “quali sono le caratteristiche della vita contemplativa e che cosa ci sia di differente tra questa e la vita attiva. Se colui al quale è affidato il compito di guidare una comunità può diventare partecipe della vita contemplativa. Se bisogna sopportare con animo tollerante quelli che calpestano i precetti divini o se invece, in base al peccato, debbano essere rimproverati con il rigore della chiesa. Se, per radunare fratelli o sostenerli, sia opportuno che la Chiesa possieda ricchezze, o se le debba respingere per amore della perfezione. Quale debba essere ritenuta la perfezione nell’astinenza e se debba essere ritenuta necessaria soltanto per il corpo o anche per l’anima. Quanto il plagio delle virtù sia lontano dalle vere virtù. Per quali cause precedenti e successivi incrementi sono soliti nascere e accrescere i vizi e attraverso quali rimedi, come se fossero delle medicine, con l’aiuto del Signore, possono essere ridotti o guariti. In quanti modi e gradi ciascuna virtù può essere accresciuta e se sia vera quella sentenza dei filosofi che avevano definito quattro virtù come le fonti di tutte le virtù e quattro vizi come origini di tutti i mali”.
Il primo libro: la vita contemplativa
Il primo libro, che corrisponde alla parte chiamata da Isidoro De Vita Contemplativa, si occupa di spiegare i primi tre temi elencati da Pomerio nel prologo. Nei capitoli dall’uno all’undicesimo egli cerca di definire la vita contemplativa, che fondamentalmente corrisponde alla visione di Dio nel mondo futuro. La vita contemplativa non è quella dell’asceta, ma piuttosto quella degli uomini che saranno salvati nel mondo futuro. Nel capitolo dodicesimo Pomerio definisce la differenza tra la vita contemplativa e la vita attiva: la prima, che consiste come già detto nella contemplazione eterna del Signore, può essere ottenuta solo attraverso la seconda: non si tratta di due strade alternative ma complementari. È importante evidenziare che per Pomerio la mistica non è sufficiente a raggiungere la pienezza della vita contemplativa, ma quest’ultima ha solo significato nel piano escatologico: in queste affermazioni Pomerio è fortemente influenzato dalla prospettiva agostiniana. Il resto del libro, dal capitolo tredicesimo al capitolo venticinquesimo, è dedicato alla terza domanda del prologo, ovvero se i sacerdoti possano o meno diventare partecipi della vita contemplativa. La sua risposta è affermativa, a patto che riescano ad esercitare in modo degno il loro ruolo e proprio per venir loro in aiuto fornisce una serie di indicazioni per assolvere correttamente al proprio ministero. Per svolgere questo compito il sacerdote, secondo l’autore del De Vita Contemplativa, deve allontanarsi dall’idea aristocratica del mondo romano e dedicarsi alla cura pastorale della comunità con un senso di abnegazione pari a quello monastico. Pomerio non esorta i sacerdoti al distacco dal mondo ma, anzi, ricorda loro, anche attraverso evocative citazioni bibliche, quanto importante sia difendere i fedeli dal peccato attraverso ammonizioni sincere e prive di timore. Appare evidente che il primo libro sia incentrato sul raggiungimento della salvezza eterna, quella che Pomerio chiama vita contemplativa.
Il secondo libro: la vita attiva
Il secondo libro è concepito per chiarire il quarto, il quinto e il sesto punto della lista contenuta nel prologo, e corrisponde alla parte chiamata De vita activa da Isidoro. Nei primi otto capitoli Pomerio cerca di spiegare, includendo una serie di esempi concreti, quale debba essere il comportamento del sacerdote nei confronti dei peccatori, quando debba essere usato il perdono e quando invece il rimprovero. Nei capitoli dal nono al sedicesimo, che corrispondono al quinto punto dell’elenco sopra citato, cerca di chiarire in che modo il sacerdote si debba rapportare ai beni propri e a quelli della chiesa, mostrando quando è lecito servirsi delle risorse della comunità e quando non lo è. Pomerio favorisce una visione in cui il vescovo vive in comunità con il clero, sul modello di comunità monastica. Il resto del libro si concentra sul tema dell’astinenza, ricordando il primato dell’astinenza spirituale, ovvero dai vizi, rispetto a quella fisica. Vengono inoltre definiti i limiti che devono essere posti a quest’astinenza, tale da non violare mai le leggi dell’ospitalità. Il libro si rivela essere una sorta di manuale di comportamento, che fornisce al sacerdote suggerimenti su come risolvere alcuni problemi pratici della vita activa, tra cui il rapporto con i fedeli e con i propri pari.
Il terzo libro: i vizi e le virtù
L’ultimo libro, il De vitiis et virtutibus, si pone il compito di spiegare gli ultimi quattro punti presentati nel prologo. Nel primo capitolo Pomerio illustra come l’imitazione delle virtù altro non sia che una falsità, e quindi un vizio situato agli antipodi delle vere virtù. Dal secondo capitolo al quindicesimo Pomerio cerca di spiegare quali siano le cause principali dei vizi e come contenerli. A suo avviso l’origine di ogni male è l’orgoglio, che può essere domato solo dall’umiltà. Altrettanto pericolosi sono l’invidia e la concupiscenza della carne, quest’ultima controbilanciata dalla castità. La sezione, dopo una serie di capitoli in cui indica ai sacerdoti come riconoscere questi vizi nell’animo delle persone anche quando sono nascosti, si conclude con un enfatico elogio della carità, in grado di rendere perfetto chi la pratica. Nei capitoli sedici e diciassette si concentra sulle virtù, ricordando che possono unicamente avere origine divina. Il terzo libro si conclude con l’analisi del decimo punto dell’elenco attraverso lunga riflessione sulla perfezione del numero quattro. Quattro sono infatti le virtù, ovvero temperanza, fortezza, giustizia e prudenza; le prime tre sono adatte a rendere perfetta la vita attiva e la quarta è necessaria per conoscere i beni divini. Inoltre Pomerio ricorda l’importanza della virtù sociale, ovvero la necessità e il dovere di porsi sempre a disposizione del prossimo. L’opera si conclude con una riflessione sulle quattro emozioni, paura, tristezza, desiderio e gioia, che non sono da considerare un male di per sé ma anzi, se dirette verso il bene, possono guidare la vita del buon cristiano.
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