Il volume

La traduzione della Storia ecclesiastica di Ermia Salamane Sozomeno, recentemente pubblicata nella collana Testi Patristici a cura di Salvatore Borzì, è la prima in lingua italiana. L’opera si apre con un’Introduzione, in cui vengono trattate le questioni ancora dibattute fra gli studiosi, quali quella relativa all’anno di nascita e di morte dello scrittore, alla forma esatta del nome Salamane e alle cause che hanno portato all’improvvisa interruzione dell’opera. Vengono esaminati anche la concezione della storia, il metodo storiografico, le fonti usate dallo storico e lo stile.

L’autore

Sozomeno nasce a Bethelia, un villaggio nei pressi di Gaza, intorno all’anno 380. Le poche notizie biografiche provengono dalle vive parole dello scrittore, che si sofferma sulle origini pagane della propria famiglia, poi convertitasi al cristianesimo in seguito alla predicazione di Ilarione. Il nonno discendeva dalla stirpe di Alafione, asceta della Palestina, che Ilarione riuscì a liberare da una possessione demoniaca, spingendo così l’intero villaggio alla conversione alla nuova fede. Il nonno, continua lo storico, si distinse nell’insegnamento della Sacra Scrittura e dell’aritmetica. I suoi discendenti fondarono poi chiese e monasteri e diedero prova di carità verso i più bisognosi. Dopo lo scoppio della persecuzione giulianea la famiglia dovette lasciare Bethelia, dove fece ritorno a pericolo cessato. Dopo la prima formazione nelle scuole di Gaza e lo studio del diritto a Berito, egli si trasferì a Costantinopoli, dove esercitò l’attività di scholastikòs, ossia di esperto di diritto, alla corte dell’imperatore Teodosio II. Alla Nuova Roma fu particolarmente legato anche per ragioni strettamente personali: un miracolo ricevuto nella chiesa di San Michele, al quale lo storico riserva solo un cenno fugace, senza indugiare sui particolari, lasciati nel più assoluto riserbo. Viaggiò molto, forse per la necessità di consultare le opere necessarie alla stesura della propria: si recò in Bitinia, in Cilicia, a Ebron, a Gerusalemme, a Cesarea di Filippi, a Roma, in Sicilia, dove vide i crateri dell’Etna, ad Antiochia, Cipro, Alessandria e giunse fino alla terra dei Saraceni. Morì non prima del 443.

 

L’opera

Nei nove libri che compongono la Storia ecclesiastica l’intento dello storico, enunciato nella Dedica dell’opera a Teodosio II, era quello di trattare, in continuazione con la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, il periodo storico che va dal 326, anno del terzo consolato dei Cesari Crispo e Costantino, al 439, anno del diciassettesimo consolato di Teodosio II. Ma il racconto si arresta improvvisamente, per motivi dettagliati nell’Introduzione, alla narrazione della scoperta delle reliquie di Zaccaria. L’ultimo episodio storico di rilievo citato è l’ascesa al trono dell’imperatore Valentiniano III nel 425.

Nel racconto degli eventi della storia vicende profane ed ecclesiastiche sono ormai indissolubilmente legate. Esse vengono viste da Sozomeno come un teatro in cui si dispiega l’economia divina. Protagonisti sono uomini di Chiesa, che dibattono su delicate questioni teologiche, in primo luogo quella relativa all’arianesimo, e gli imperatori, che indicono concili e appoggiano con appositi provvedimenti una delle parti in causa in base alla convenienza e all’opportunità del momento. In questo scenario da un lato appaiono schierati i difensori della Verità, che per lo storico si identificano con quegli imperatori, in primis Costantino e Teodosio I, che hanno contribuito all’affermazione della vera fede, che per Sozomeno si identifica col credo niceno, e con quanti, come Atanasio, Basilio Magno, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, in sua difesa non hanno esitato ad affrontare ogni genere di sacrifici e sofferenze; dall’altro i nemici di Dio, gli usurpatori, i barbari per la loro conversione all’arianesimo, gli Ebrei, spesso vicini agli imperatori ostili ai cristiani, gli eretici e i persecutori della vera fede, come Costanzo II, Giuliano l’Apostata e Valente. Giudice supremo è Dio, che dal suo infallibile tribunale premia i primi e condanna alla rovina i secondi.

 

Il giudizio sulla storia

Un elemento notevole nel racconto della vicende è l’atteggiamento critico dello storico, che non esita nel muovere biasimi non solo ai nemici della vera fede, ma anche agli uomini di Chiesa. Esso si fa particolarmente evidente nell’esame delle cause che hanno dato origine alle eresie, nate, a suo giudizio, non solo dalle divisioni di natura teologica, già di per sé nocive all’unità dei fedeli, dato che «il persecutore e il perseguitato appartenevano alla Chiesa» (IV, 26, 4), ma anche, e soprattutto, da motivazioni ben più meschine e abiette, per le quali tali dispute spesso si sono rivelate solo comodo paravento: inimicizie private, ambizione di potere, desiderio di sedere su prestigiosi seggi episcopali, che hanno generato la tessitura di trame occulte, cambi improvvisi di casacca, scomuniche reciproche e, non di rado, violenza di toni, indegni di uomini di Chiesa.

Di gran lunga più nobili di questi sedicenti pastori di anime sono i santi, i martiri, i confessori della fede e soprattutto i monaci, a cui Sozomeno dedica ampio spazio sia per esaltarne la santa condotta di vita, conforme all’esempio di Cristo, in virtù della quale essi erano in grado di operare guarigioni, di scacciare i demoni e di prevedere il futuro, sia per sottolinearne l’opera di difesa del credo niceno e di diffusione della fede presso barbari e pagani.

 

Il metodo storiografico

Sozomeno stesso, nel proemio della propria opera, dichiara che suo intento è ricostruire i fatti secondo verità. Sue fonti sono i testimoni oculari o documenti scritti in caso di eventi troppo lontani nel tempo. Fra questi si segnala il ricorso alle leggi emanate a favore o contro il Cristianesimo, cui egli aveva facile accesso in forza della propria attività di scholastikòs alla corte di Teodosio II, agli atti conciliari e, soprattutto alle lettere di vescovi e imperatori conservate negli archivi o in possesso di dotti cittadini privati, caso unico fra gli antichi storici della Chiesa. Ciò che sorprende è l’assai ridotto ricorso alla Sacra Scrittura, alla quale compaiono solo 59 riferimenti. Di questi solo 4 sono citazioni testuali, a cui esplicitamente l’autore ricorre per dare forza e autorità al proprio pensiero; gli altri sono richiami indiretti o compaiono all’interno di citazioni di passi di altri autori. In ciò gli studiosi hanno voluto vedere il tentativo da parte di Sozomeno di un approccio più laico ai fatti narrati, che egli intende esaminare con la forza indagatrice della ragione e l’acume del proprio giudizio.

Tali fonti lo storico intende esaminare con scrupolo, lontano da ogni inclinazione alla faziosità. Impresa ardua, confessa, visto che ogni fonte tende a sottolineare gli elementi favorevoli alla propria parte e a tacere o travisare o, peggio, falsare quelli della parte avversa. Egli non esita a confutare la versione dei fatti qualora non la consideri corrispondente al vero o obiettiva. Criterio oggettivo di veridicità è per lui la concordanza delle fonti. Quando però esse divergono, assume atteggiamenti diversi: talora riporta la versione a suo giudizio più veritiera; talora rinuncia a prendere posizione o a riferire tutte le versioni di un fatto e preferisce esporre solo la propria; talora seleziona i fatti, scegliendo di narrare quello che a lui sembra degno di nota, tralasciandone altri.

Allo scrupolo nella ricostruzione dei fatti secondo verità non si accompagna però la necessaria precisione nell’indicarne la cronologia, ricca di errori e di imprecisioni e indicata spesso con generici “in questo tempo”, “in queste stesse circostanze”. Nei pochi casi in cui precisa l’anno di un determinato avvenimento ricorre non alla successione dei vescovi della più prestigiose sedi episcopali, come Eusebio di Cesarea, ma agli anni di consolato di personaggi di rilievo e a quelli di regno degli imperatori.

 

Lo stile

Già Fozio, Biblioteca 30, riteneva Sozomeno superiore per lo stile rispetto al contemporaneo Socrate, anch’egli autore di una Storia ecclesiastica sui fatti che vanno dal 306 al 439. Esso in effetti riesce gradevole fino a rendere avvincente il racconto degli eventi per la capacità di assumere toni diversi: accorati quando descrive la vita ascetica, drammatici nella narrazione delle traversie affrontate dai difensori della vera fede, severi quando biasima atteggiamenti indegni di uomini di Chiesa, incantati davanti al prodigio e al miracolo. Notevole anche la capacità di drammatizzare gli eventi col ricorso al discorso diretto e di dilettare il lettore con digressioni e aneddoti, che ricorda la piacevolezza tipica di quelli presenti nell’opera erodotea.


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